25 Febbraio 2008
Intervenendo all’annuale incontro sul tema “Il Catasto ai Comuni in Lombardia” in programma oggi al Centro Congressi Stelline
COLOMBO CLERICI: PER I PROPRIETARI DI CASA E' INDIFFERENTE PAGARE LE TASSE ALLO STATO OPPURE AI COMUNI: MA NON PAGARLE DUE VOLTE. Rendere detraibile l'ICI ed abbassare le aliquote di tutte le imposte, anche erariali, che incidono sugli immobili
Milano, 26 febbraio 2007 – “I proprietari immobiliari non fanno resistenza alla riforma catastale perché non vogliono pagare le tasse. Sono abituati a pagarle eccome, le tasse, anche più dell’equo. Per cui, se le imposte invece di versarle allo Stato le versiamo ai Comuni, può anche andarci bene, purché ciò avvenga senza aggravare il carico fiscale del contribuente. Se poi ci sono degli evasori è bene che essi vengano stanati: e per parte nostra abbiamo indicato quali strumenti adottare a questo fine”.
Con questa premessa il Presidente di Assoedilizia avv. Achille Colombo Clerici apre l’intervento all'incontro annuale “Il Catasto ai Comuni in Lombardia” organizzato domani 26 febbraio al Centro Congressi Stelline da Anci, Uncem e Legautonomie.
Ma, accusa, in Italia sta avvenendo qualcosa di iniquo, in campo fiscale immobiliare.
Si va attuando infatti una distorsione del federalismo il quale vuole che l’ente locale investito della competenza in una data materia (ad esempio il Comune) sia dotato di una autonomia nella provvista e nella gestione delle risorse finanziario-fiscali; però - ed è un rischio prevedibile - la maggiore autonomia e capacità impositiva degli enti locali non devono consistere nella istituzione di nuove imposte locali o nella dilatazione di quelle esistenti, se non è accompagnata da una parallela riduzione della imposizione erariale.
Né la questione si può liquidare sommariamente richiamando l’impegno dello Stato a mantenere l’invarianza del prelievo fiscale. Come si ricava leggendo le norme che concernono il punto, l’invarianza riguarda complessivamente il gettito delle imposte dirette ed indirette (e quindi sostanzialmente la pressione fiscale); ma certamente non riguarda il gettito di una singola imposta ¬ quale potrebbe essere l’ICI ¬ né tanto meno l’importo dell’imposta a carico del singolo contribuente.
Venendo allo specifico. La riforma catastale in atto mira dunque a raggiungere una serie di obiettivi dichiarati ¬ la maggiore efficienza, sul piano amministrativo; l’eliminazione delle sperequazioni, sul piano dell’equità fiscale; possibilmente un maggior gettito della fiscalità immobiliare, segnatamente dell’ICI, anche se non dichiaratamente. Ma l’effetto sarà proprio questo. E ciò avverrà in modo più sensibile se si andrà avanti sulla strada della riforma del Catasto in senso patrimoniale.
Se il Catasto censisce i valori immobiliari e non i redditi, e poi trasforma i primi, attraverso coefficienti presuntivi di redditività fissati dall’Esecutivo (e quindi modificabili all’occasione) compie una operazione di determinazione della base imponibile fittizia e sperequativa, perché, prescindendo dall’effettiva remuneratività, ed accentuando la forbice tra valori che salgono e redditi che scendono, pone in essere un meccanismo sostanzialmente espropriativo.
La riforma catastale, pur prescindendo dalla valutazione degli effetti sulla base dei criteri reddituali o patrimoniali (la nostra organizzazione ha stimato tra l’altro che il carattere di patrimonialità delle valutazioni catastali porterà di per sé ad un notevole innalzamento dei valori impositivi) prelude ad una accelerazione del prelievo ICI. Senza dire degli effetti sulle imposte indirette e su quelle dirette. Questo esito, data la situazione fiscale generale del Paese e del settore immobiliare, (in particolare della locazione abitativa) non può giustificarsi in alcun modo con la semplice esigenza di perequazione. Se si deve perequare, chi impedisce che lo si faccia livellando i valori all’ingiù, piuttosto che all’insù?
Preoccupa che si stia formando, nell’opinione pubblica, un luogo comune semplicistico, che rischia di avere effetti fuorvianti: i valori catastali sono bassi e molto lontani da quelli di mercato. Non dimentichiamo al proposito che i valori catastali sono valori convenzionali, teorici di parametrazione, (non debbono essere necessariamente valori di mercato) e che quando il legislatore istituì l’ICI (questa imposta doveva originariamente esser posta a carico per metà degli utenti della città) determinandone le aliquote ¬ che ritenne eque ¬ sapeva benissimo che quei valori erano più bassi di quelli di mercato e calibrò appunto le aliquote su di essi. Tra l’altro, da allora, l’imposizione erariale sugli immobili a reddito (che sono poi quelli affittati, magari a scopo abitativo, con quella locazione che si vorrebbe incentivare) è notevolmente aumentata. E dunque si renda l’ICI integralmente detraibile dalle imposte erariali e si stabilisca comunque per legge, ora per allora, che qualsiasi effettivo aumento dei valori immobiliari, rispetto agli attuali, comporterà l’applicazione di aliquote impositive proporzionalmente ridotte, non solo dell’ICI, ma anche delle imposte erariali dirette ed indirette. I valori catastali incidono infatti sull’imposta di registro, sull’imposta sulle donazioni e sulle successioni, su quelle ipocatastali, sulla parametrazione per la congruità dell’IRPEF e dell’IRES.
Assoedilizia, la borghesia storica di Milano e della Lombardia