_comunicato #433
09 Giugno 2009
Morosità e imposizione fiscale
Nota tecnica dell'avv. Luca Brembati del Coordinamento Studi Fiscali
Quadro normativo

Prevedeva l’art.23, comma 1, del D.P.R. 22/12/1986, n.917 (T.U.I.R.) che “I redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto, o altro diritto reale...”.
Ciò comportava che, nel caso di immobile locato, fosse tassato il canone di locazione (risultante dal contratto, oltre agli aggiornamenti Istat) anche nel caso di mancata percezione per effetto di morosità del conduttore.
L’art.8, comma 5, della Legge 9/12/1998, n.431 (nuova legge sulle locazioni), per temperare la rigida previsione di cui sopra, ha aggiunto due periodi al comma 1 dell’art.23 sopra citato, che prevedono:
- “I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore.”
- “Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito d’imposta di pari ammontare.” .
Per completezza si osserva che l’art.23, comma 1, sopra analizzato, attualmente è diventato l’art.26 (per effetto della novella fiscale di cui al D.Lgs. 12/12/2003, n.344) : è peraltro cambiata soltanto la numerazione, in quanto il testo del comma 1 è immutato.
Tali disposizioni sono applicabili nel caso di locatore persona fisica. Ma lo sono anche nel caso di impresa qualora si tratti di immobili “patrimoniali” (cioè che non siano nè strumentali, nè beni merce : in sostanza si tratta degli “abitativi” concessi in locazione, in particolare, da immobiliari di gestione) e quindi soggetti, ex art.90 d.p.r. 917/86, alla stessa disciplina.
Uso abitativo
I due periodi sopra citati (introdotti dalla L.431/98) richiamano, espressamente e solamente, le locazioni ad “uso abitativo”, per le quali, quindi, è certamente consentito:
- non dichiarare il canone di locazione dal momento della convalida dello sfratto per morosità (da quel momento si dovrà dichiarare invece, soltanto, la rendita catastale rivalutata)
- e soprattutto beneficiare di un credito d’imposta per le imposte pagate precedentemente. Ossia “recuperare” le imposte pagate (sul canone dichiarato, ma non percepito) dal momento in cui è iniziata la morosità e fino alla convalida dello sfratto (per quanto, nel determinare il credito d’imposta, occorrerà comunque sostituire il canone con la rendita catastale e quindi tassare questa, in luogo di quella)
- se invece, ad esempio, la morosità è iniziata nel 2008, ma nello stesso anno si è iniziata e conclusa (quanto alla convalida) la procedura di sfratto, in sede di dichiarazione dei redditi 2008 (Unico 2009), si potrà direttamente non dichiarare i canoni non percepiti (diversamente si avrebbe l’assurdità di dichiararli e tassarli in Unico 2009, per poi richiedere il credito d’imposta l’anno successivo). Ciò non è espressamente previsto dalla norma, ma lo si può desumere dalla ratio della stessa e anche dalle istruzioni di Unico.
Uso diverso
La norma citata nulla prevede (espressamente) per gli “usi diversi”.
Occorre tuttavia analizzare i due periodi introdotti dalla L.431/98, separatamente.
(a)
(“I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore.”)
La convalida dell’intimato sfratto, sotto il profilo procedurale, risolve la locazione (salvo il disposto dell’art.669 c.p.c., secondo cui ciò avviene a condizione che il locatore non chieda, nello stesso giudizio, il pagamento dei canoni, riservandosi ad esempio di richiederli con separato ricorso per decreto ingiuntivo). Del resto, anche secondo i principi generali, la morosità è inadempimento e quindi giustifica la risoluzione (artt.1453 e ss., c.c.). Inoltre, negli stessi contratti di locazione, per l’ipotesi di morosità, è normalmente prevista la risoluzione di diritto, sia come clausola risolutiva espressa (art.1456 c.c.), sia come termine essenziale (art.1457 c.c.).
Si potrebbe quindi ritenere (per quanto non sia espressamente previsto dalla norma fiscale citata) che anche per gli usi diversi, dal momento della risoluzione del contratto (per effetto della morosità, delle previsioni contrattuali, e della convalida di sfratto), non sia più imponibile fiscalmente (quantomeno dalla data di convalida, che è data certa) alcun canone, posto che viene a mancare il titolo (il risolto contratto). Da quel momento dovrebbe essere dichiarata invece, soltanto, la rendita catastale.
Del resto anche la Corte di Cassazione nella sentenza n.6911, del 7/5/2003, afferma che “...i dati contrattuali forniscono solo una indicazione presuntiva; poiché - di consueto - i proprietari percepiscono il canone indicato nel contratto. Ma deve essere consentita la prova contraria, così come nel caso di specie avvenuto attraverso elementi indiziari (quale la procedura di sfratto per morosità) che il giudice di merito ha, con insindacabile e non contestato giudizio, ritenuto congrui.” .
Tale sentenza è importante, in quanto se ne può desumere un principio generale, valevole non solo per gli usi abitativi (per i quali già prevede la norma fiscale), ma anche per gli usi diversi (che la norma fiscale non ha espressamente considerato).
Ed il principio è che il contribuente può fornire “prova contraria”. Ossia che il canone non è stato percepito. E tra le prove più rilevanti vi è la procedura di sfratto per morosità, che, quantomeno dalla convalida, porta una “conferma” da parte di un Giudice della mancata percezione del canone.
La sentenza citata, per giungere alle conclusioni suddette, richiama l’art.53 della Costituzione affermando che “... il carico fiscale deve essere ragguagliato alla "capacità contributiva", cioè alla effettiva ricchezza a disposizione del contribuente. Non è quindi consentito - ad esempio - tassare quelle ricchezze che siano state erroneamente indicate in una denuncia, ma che non siano possedute dal soggetto passivo della imposta.” .
E richiama altresì lo Statuto dei Contribuenti osservando che “L'indicazione costituzionale è poi stata recepita e rafforzata dallo "statuto dei diritti del contribuente" approvato con legge 212/00, in particolare laddove ha sancito il principio di buona fede che, ad avviso del Collegio, impone alla Amministrazione di far riferimento a dati di ricchezza reali.”.
Parrebbe quindi che, anche per gli usi diversi, possa non dichiararsi più il canone – almeno – dal momento della convalida.
(b)
(“Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito d’imposta di pari ammontare.”)
b.1)
Problema più delicato è invece quello della tassazione dei canoni maturati dall’inizio della morosità e fino alla convalida.
La sentenza di Cassazione citata, del 2003, si sarebbe potuta utilizzare per sostenere la non imponibilità, anche, dei canoni di tale periodo (posto che afferma la possibilità di non tassare redditi per i quali si può fornire “prova” della mancata percezione). E quindi (riprendendo l’esempio fatto per l’uso abitativo), nel caso la morosità sia iniziata nel 2008, ma nello stesso anno si sia iniziata e conclusa (quanto alla convalida) la procedura di sfratto, in sede di dichiarazione dei redditi 2008 (Unico 2009), si sarebbe potuto ritenere di non dichiarare i canoni non percepiti.
Tuttavia, successivamente, la Cassazione sembra aver mutato indirizzo. Ci si riferisce alla sentenza n.19217 del 6/9/2006, che tratta di un caso di comproprietà di immobile locato, in cui uno dei comproprietari aveva trattenuto interamente il canone versato dal conduttore (impedendo agli altri proprietari di percepirlo pro-quota). Secondo la Cassazione il principio enunciato dall’art. 26 del d.p.r. 917/86 secondo cui “I redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà…” , determina che il reddito di un immobile in comproprietà debba imputarsi pro-quota ai comproprietari, indipendentemente dal fatto che ognuno abbia effettivamente potuto percepire la propria quota. E ciò, secondo la Corte, non sarebbe una violazione dell'art. 53 della Costituzione poichè “…ciascuno dei comproprietari, nel caso di mancata percezione, diviene evidentemente titolare di un diritto di credito, corrispondente all'ammontare della propria quota, nei confronti del comproprietario che abbia in ipotesi trattenuto l'intero importo della locazione”. Con la conseguenza che ognuno potrà esperire azione, in sede civile, contro quel soggetto per veder riconosciute le proprie ragioni di credito.
Le citate sentenze di Cassazione - n. 19217 del 6 settembre 2006 e n. 6911 del 7 maggio 2003 - determinano un contrasto giurisprudenziale.
b.2)
Se vi è incertezza sulla possibilità di non tassare (negli usi diversi) i canoni maturati dall’inizio della morosità e fino alla convalida, a maggior ragione (qualora si siano effettivamente già tassati) è improponibile usufruire del credito d’imposta.
Del resto quel credito d’imposta è una sorta di agevolazione e, quindi, non essendo espressamente prevista anche per gli usi diversi, non appare possibile usufruirne in dichiarazione dei redditi.

Conclusioni
Sarebbe auspicabile un intervento normativo che eliminasse i dubbi interpretativi della norma fiscale di cui all’art.26 del d.p.r. 917/86 e, al tempo stesso, facesse chiarezza nel quadro Giurisprudenziale. Un intervento, cioè, che espressamente parificasse il trattamento degli usi abitativi e di quelli diversi, sotto il profilo dell’imposizione fiscale diretta in caso di morosità. E ciò soprattutto nel senso di riconoscere esplicitamente lo stesso credito d’imposta per le imposte pagate sui canoni pregressi non percepiti. Del resto, soprattutto qualora si tratti di locatore persona fisica, non si comprende il motivo di una disparità di trattamento, che, in definitiva, penalizza i proprietari di immobili commerciali, i quali, oltre ad essere i più esposti alla depressione del mercato degli affitti ed alle lentezze procedurali nel rilascio in caso di morosità, risultano anche privi di riparazione sotto il profilo fiscale.



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